Siamo stati abituati a decenni di modelli aziendali poco partecipativi dove logiche di potere e sistemi di controllo più o meno efficaci hanno dettato legge e fatto cultura. In Italia, rispetto ad altri paesi, è forse anche un po’ peggio, soprattutto a causa della pervasività di una logica clientelare con caste e clan di poteri forti.
Come sempre, i momenti di crisi e di sofferenza economica inducono cambiamenti nella cultura del fare impresa e nelle modalità di definizione e creazione del valore. Questo è già avvenuto più volte in passato, basti pensare quando sono nate quelle aziende che oggi consideriamo intrinsecamente “innovative” come Google, Facebook, Skype, etc.
Su questi temi, c’è una bell’articolo di Luca relativo ai modelli della generazione X e quelli della generazione Y. Luca ritiene auspicabile un “patto del secolo” tra la generarzione X (vecchi modelli) e la generazione Y ( “digital natives”) che aiuti la transizione.
Io non ne sono molto convinto: troppo interessi da scardinare, una cultura ancora un po’ da creare.
Tutti siamo ormai “stanchi di sottostare a regole e rituali” che non riconosciamo più e che non hanno alcuna utilità, ma questo non basta: non dobbiamo scardinare i vecchi modelli, dobbiamo crearne di nuovi.
Per fare questo servono ideali, ma serve anche essere concreti e poter esprimere un potere economico in grado di traghettarci – lui solo – a nuovi modelli comporamentali un po’ più etici, nel senso di creare valore per la collettività.
Non aspetterei quindi un alleanza tra la generazione X e la generazione Y, ma sugerirei di osare, di creare, di costruire realtà che nel tempo si consolidino e si sostituiscano a quelle “vecchie”.
Ogni tanto, riguardiamoci il video di Steve Jobs; quelli che sono “affamati e folli” non si cercano un posticino in Banca anche perché sanno che ormai potrebbe essere, anche quello, molto precario.
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Roberto, INNEXTA | Digital Strategy
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